L’alimentazione idonea alla natura dei carnivori domestici deve rispettare le loro esigenze innate. Occorre ricalcare, per quanto possibile, le quantità e i rapporti dei nutrienti apportati dalle prede, garantendo tuttavia la salubrità igienico-sanitaria garantita dal trattamento termico. Solo la cottura al cuore del prodotto infatti abbatte la carica batterica, parassitaria e virale, scongiurando la trasmissione di questi patogeni agli animali e all’uomo.
Quali sono i nutrienti essenziali nella dieta
- le proteine: in natura vengono apportate dalle carni della preda, mentre nel pet food dai prodotti e sottoprodotti di origine animale. Attualmente non esiste un fabbisogno massimo proteico conosciuto nei carnivori d’affezione. È stato stimato che, nel gattino in accrescimento, il 60% del fabbisogno proteico sia utilizzato per mantenere i tessuti corporei, mentre i cuccioli di cane in crescita utilizzano per il mantenimento il 35% circa delle proteine fornite con la dieta. Questo maggior fabbisogno di mantenimento nel gatto, che non ha mai sviluppato la capacità metabolica di adattarsi a una dieta povera di proteine, viene portato come prova scientifica a supporto della scelta di utilizzare nella linea Virtus il “72% ingredienti di origine animale”. Ricerche condotte su cane e gatto hanno dimostrato che gli alimenti di origine animale a base di carne siano, sotto il profilo nutrizionale, superiori agli alimenti di origine vegetale a base di glutine di grano come fonte proteica alimentare. Queste conclusioni derivano dall’osservazione di una maggiore digeribilità e di un maggior utilizzo dell’azoto. Inoltre, ricerche hanno evidenziato come il consumo di alimenti a base di glutine di grano sia associato ad una perdita netta di calcio e magnesio corporei che può influenzare il fabbisogno e l’utilizzo dei minerali. L’elevato contenuto proteico della dieta è necessario per fornire al gatto adeguate concentrazioni di due aminoacidi, arginina e taurina, che non possono essere autosintetizzati adeguatamente dal felino.
- i lipidi: in natura vengono apportati dalle carni della preda, mentre nel pet food da oli vegetali o grassi animali. I lipidi alimentari sono inclusi negli alimenti in quanto altamente digeribili e fungono da fonte di energia e acidi grassi essenziali. In assenza di un adeguato apporto energetico alimentare, si verificano effetti negativi sulla salute, determinando la deplezione delle energie dell’organismo e delle riserve di altri nutrienti. Alcuni lipidi specifici sono necessari per il normale metabolismo, in particolare due acidi grassi omega-6 (acido linoleico e acido arachidonico) e un acido grasso omega-3 (acido alfa-linoleico). Il gatto non è in grado di sintetizzare quantità adeguate di acido arachidonico a causa della bassa attività degli enzimi preposti. Quindi, a differenza del cane che necessita solo di acido linoleico nella dieta, l’alimentazione del gatto deve contenere sia acido linoleico che arachidonico. Una carenza alimentare di acido linoleico e/o arachidonico può avere effetti negativi sulla riproduzione, sulla coagulazione ematica e sulle condizioni della cute e del mantello del gatto. Ricerche hanno dimostrato anche che gli acidi grassi omega-3 sono importanti per la salute della cute e del mantello. Questi acidi grassi sono presenti in elevate concentrazioni nell’olio di pesce, di lino e in alcune piante.
- i minerali e le vitamine: vengono apportati sia in natura sia nel pet food dalle ossa e dagli organi, sono indispensabili elementi regolatori di tutti i meccanismi biochimici. Molti minerali e vitamine possiedono fabbisogni minimi nutrizionali, alcuni anche fabbisogni massimi. Una dieta industriale completa deve contenere precisi dosaggi di minerali e vitamine.
- le fibre: in natura vengono apportate dal contenuto intestinale della preda, mentre nel pet food da analoghi vegetali, garantendo il buon transito intestinale e il trofismo dei villi intestinali. Non esiste attualmente un fabbisogno. Il grosso intestino è formato da cieco, colon e retto; nei carnivori manca un cieco ben definito e funzionale. In altre specie (cavallo e coniglio), il cieco funge da luogo di degradazione del materiale vegetale fibroso da parte dei batteri intestinali residenti. Ciò indica che i carnivori hanno una capacità limitata di digerire le fibre alimentari di origine vegetale. È comunque importante che la diversità del microbiota intestinale sia conservata, per garantire una digestione ottimale. Si citano, a tal proposito, alcuni ingredienti ricchi in fibra solubile o sostanze fitoterapiche e nutraceutiche di cui la linea Virtus risulta arricchita: crescione, tarassaco, yucca; tali composti hanno la capacità di svolgere azione pre- e post- biotica a supporto della salute e della funzionalità dell’apparato digerente. Ricerche hanno mostrato che le fibre moderatamente fermentescibili, come la polpa di barbabietola, possono essere di beneficio in quanto produttrici di acidi grassi a catena corta. Questi ultimi fungono da fonti energetiche per le cellule intestinali e promuovono il benessere complessivo dell’apparato digerente. È utile notare come la non digeribilità della fibra insolubile possa essere vantaggiosa nel gatto per il controllo dei boli di pelo (tricobezoari). Negli ultimi anni si è assistito alla rapida diffusione di alimenti commerciali sviluppati per il controllo dei boli di pelo. La maggior parte di questi alimenti contiene una fonte di fibra non digeribile che “sospinge” naturalmente il pelo ingerito attraverso il canale digerente. Questo effetto previene l’accumulo di pelo nello stomaco e la successiva formazione di boli. Negli alimenti della linea Virtus gatto, patè, è stata inserita l’erba gatta come fonte di fibra che aiuta la fisiologica espulsione dei boli di pelo.
Quali sono i nutrienti non essenziali nella dieta di cani e gatti
- i carboidrati: Se per l’uomo risulta fondamentale un apporto giornaliero del 60% circa di glucidi, per quanto riguarda i carnivori questa percentuale dovrebbe essere drasticamente ridotta nel cane e quasi azzerata nel gatto, in quanto i carnivori traggono energia direttamente dai grassi e dalle proteine. Essendo i gatti carnivori stretti, l’apporto di carboidrati nell’alimento risulta trascurabile, poiché l’organismo è privo di riserve significative di questi elementi. Il gatto infatti si è evoluto utilizzando gli aminoacidi per la produzione di glucosio. Pur non necessitando di carboidrati nella dieta, i gatti sono in grado di metabolizzarli. In linea generale, gli alimenti secchi per animali hanno il contenuto più elevato di carboidrati (30-50%), mentre quelli umidi ne contengono meno (0-30%).
I cereali costituiscono la fonte primaria di carboidrati alimentari, grazie all’elevato contenuto in amido e sono ampiamente utilizzati per la produzione di pet food perché costituiscono una fonte economica e facilmente disponibile. Recentemente, però, la tendenza di molte aziende produttrici è stata quella di sostituire i cereali con altre fonti alimentari di amidi (ad es. patata, tapioca) o di eliminarli in toto, come è accaduto nella linea Virtus patè gatto (“0% grain”). Ricerche hanno dimostrato che, nel gatto, la fonte di amido alimentare influenza la glicemia e l’insulinemia postprandiale. Questa risposta glicemica, che si esprime con un aumento della glicemia dopo il pasto, appare prolungata nel gatto rispetto al cane e all’uomo. La tipica risposta glicemica nella maggior parte degli animali dura da 4 a 6 ore, prima che la glicemia torni ai valori basali, ma nel gatto questo processo può richiedere fino a 18 ore, a seconda della fonte alimentare di amido.
Le diete a base di riso e sorgo producono una risposta glicemica precoce, mentre la risposta risulta più lenta con diete a base di grano e orzo. Tale risposta si riflette in un significativo rilascio di glucosio postprandiale, in un picco glicemico ritardato e in un suo rapido declino. L’alimentazione a base di mais produce invece una risposta glicemica intermedia. La digestione e l’utilizzo delle fonti alimentari di amido nel gatto sono altamente dipendenti in base al tipo di amido somministrato.
Le origini e la natura del gatto
Il gatto domestico, al pari del cane, appartiene all’ordine dei Carnivori. Questo implica che la sua principale fonte alimentare sia costituita da tessuti animali. Tuttavia, la comparazione delle esigenze nutrizionali, delle caratteristiche anatomiche e degli adattamenti metabolici di queste due specie mostrano che esse si siano evolute in maniera diversa. Durante lo sviluppo evolutivo, il gatto è rimasto un carnivoro stretto, mentre il cane ha sviluppato abitudini alimentari più simili a quelle degli onnivori.
Come l’uomo infatti, il cane può utilizzare efficacemente componenti alimentari sia di origine animale sia di origine vegetale, mentre il gatto è altamente dipendente dai tessuti animali per il soddisfacimento di specifiche esigenze nutrizionali. Si tende a considerare il gatto domestico (Felis catus) come un discendente del gatto selvatico africano, Felis silvestris libica, che si nutre prevalentemente di piccoli roditori delle dimensioni di un topo di campo, consumandole più volte durante il giorno. L’addomesticamento è avvenuto circa 10.000 anni fa. Il gatto si definisce carnivoro stretto o supercarnivoro per il suo metabolismo strettamente dipendente da alte percentuali di proteine e grassi. Possiede una raffinata sensibilità organolettica, è estremamente esigente alla forma fisica, odore e temperatura del cibo. Il gatto selvatico, a differenza del lupo, è un cacciatore solitario.
L’istinto venatorio è innato e i gatti si allenano fin dalla giovane età, imparando a cacciare dalla madre che segue un preciso programma venatorio per i suoi piccoli. L’intera cavità orale del gatto è indicativa della sua natura strettamente carnivora: possiede denti canini appuntiti e perforanti, due paia di denti ferini taglienti, sono assenti denti trituratori tipici degli animali erbivori, l’apertura boccale è adattata a strappare i tessuti e la lingua ruvida è atta ad asportare la carne dalle ossa. Il breve tratto intestinale felino indica che la digestione deve essere rapida ed efficace, al fine di liberare i nutrienti assorbibili.
Come deve essere la dieta del gatto
Per questo motivo, la dieta del gatto deve essere concentrata e altamente digeribile. La preda d’elezione* cacciata dal gatto ferale possiede questi valori nutrizionali:
- ≈ 75% di umidità
- ≈ 25% di sostanza secca di cui:
- ≈ 55% di proteine
- ≈ 40 % di grassi
- ≈ 2-5% di carboidrati
*dati relativi al topo di campagna.
In mancanza della preda viva (alimentazione naturale), ci si può avvicinare il più possibile con un alimento industriale umido completo senza carboidrati (Virtus patè): le caratteristiche nutrizionali, la consistenza, la forma fisica, le caratteristiche organolettiche, la percentuale di umidità (che permette il raggiungimento del fabbisogno idrico giornaliero) risultano assolutamente idonee, rispecchiando alla perfezione l’alimento naturale. A differenza del cane, Il gatto non è mai stato foraggiato dall’uomo: ha mantenuto la sua autonomia alimentare senza dover modificare il suo assetto enzimatico per adattarsi a cibi umani. I processi digestivi del gatto sono rimasti identici a quelli del suo predecessore selvatico. L’evoluzione non ha mai pressato il gatto verso il cambiamento (cosa che invece è avvenuta per il cane) di conseguenza si distingue per una scarsissima competenza nel digerire i carboidrati, una carenza di recettori gustativi per assaporare il gusto dolce, un apprezzamento dell’alimento sempre nuovo e diverso (neofilia) in quanto soltanto la varietà alimentare gli permette di assumere a rotazione tutti i nutrienti che non riesce ad autoprodursi (taurina, arginina, acido arachidonico, vitamina A, niacina). Benché il gatto abbia comunque in parte la capacità di utilizzare alimenti di origine vegetale inclusi comunemente nelle diete industriali, il suo metabolismo è specificamente programmato per soddisfare efficacemente tutte le sue specifiche esigenze alimentari con principi nutritivi forniti dai tessuti di origine animali. La capacità del gatto di metabolizzare il glucosio e altre fonti energetiche diverse dai carboidrati è notevolmente diversa rispetto alle altre specie animali e riflette la dipendenza da una dieta animale a elevato contenuto proteico e scarso di carboidrati. Oggi, la corretta nutrizione del gatto domestico, deve considerare le peculiarità evolutive, anatomiche e biochimiche della specie felina. Il gatto deve infatti essere nutrito da carnivoro stretto, poiché molti dei nutrienti specifici necessari al suo metabolismo basale sono contenuti esclusivamente nei tessuti animali e non nei prodotti di origine vegetali.
Le origini del cane
I più antichi scheletri di cane sono stati rinvenuti vicini ai resti di ossa umane e, proprio per questa ragione, i cani hanno meritato il nome di Canis familiaris. La domesticazione è avvenuta almeno 40.000 anni fa ed è noto che il cane domestico discenda da un canide selvatico preesistente. Tra questi potenziali ascendenti troviamo il lupo (Canis lupus), lo sciacallo (Canis aureus) e il coyote (Canis latrans). Studi scientifici hanno permesso di poter definire che il lupo grigio è stato l’antenato dell’attuale cane domestico, infatti, i geni del lupo e quelli del cane differiscono solo dello 0,2%, inoltre, in Cina, luogo in cui sono stati scoperti i più antichi resti di cani, non sono mai stati ritrovati né sciacalli né coyote. Un luogo comune molto diffuso consiste nell’affermare che il cane discenda direttamente dal lupo, ma in realtà il sequenziamento dei due genomi ci ha indicato che il passaggio non è stato diretto.
Il lupo vive e caccia in branchi gerarchizzati. La sua alimentazione non è costituita da sola carne. Consuma ciò che è disponibile nell’habitat: piccoli mammiferi, ungulati, carogne, feci di erbivori (fonte di fibre parzialmente digerite), bacche e frutta (assunte per lenire la fame). Dopo la cattura, la preda viene divorata seguendo un preciso ordine: inizialmente le attenzioni sono rivolte alle cavità interne e ai visceri (fegato, cuore, polmoni, milza, stomaco, intestino, reni), poi si passa ai quarti posteriori, collo e carcassa, lasciando per ultime la colonna e la testa.
L’olfatto è un senso fondamentale nell’assunzione dell’alimento: il cibo viene annusato per valutarne l’odore e la temperatura (ideale 38-39°C). L’olfatto dei carnivori è enormemente più sviluppato rispetto a quello umano (nel cane si contano fino a 220 milioni di cellule olfattive mentre nell’uomo fino ad un massimo di 10 milioni) e l’acuità olfattiva aumenta all’aumentare della fame. I lupi mangiano molto rapidamente, limitando la masticazione al minimo. L’assunzione dell’alimento è molto rapida (da 1 a 5 minuti) soprattutto se paragonata a quella umana (da 30 minuti ad 1 ora). Lo stomaco è notevolmente dilatabile per permettere di accumulare fino a 10 kg di cibo, in attesa della futura possibilità di reperire nuovo cibo, in quanto l’accesso alle risorse è un evento occasionale.
Nel Neolitico, l’uomo, avendo gradualmente ridotto la caccia, si è lentamente trasformato in agricoltore sedentario. In questo processo evolutivo umano la figura del cane è stata basilare. Subendo il cambiamento rivoluzionario di stile di vita, il cane si è adattato, diventando un animale spazzino e perdendo progressivamente la propria attitudine alla caccia e la propria autonomia alimentare. Per queste sue peculiari abitudini il cane si definisce carnivoro opportunista. Nel corso dei secoli, essendosi alimentato degli scarti dell’alimentazione umana (prevalentemente cereali), il cane si è parzialmente adattato a digerire gli amidi cotti, passando alla prole, di generazione in generazione, un corredo genomico in grado di produrre nuovi enzimi che il lupo non possedeva, si tratta delle amilasi pancreatiche. Attualmente sappiamo che tale corredo enzimatico è molto variabile da razza a razza: il Saluki ha sviluppato 29 coppie di geni per la digestione degli amidi, il Siberian Husky ne ha 3, mentre il lupo ne ha solamente 1.