Le reazioni avverse agli alimenti vengono definite “risposte anomale all’ingestione di cibi o additivi alimentari” e si discostano dal normale “processamento” delle componenti alimentari che normalmente avvengono a livello dell’apparato digerente.
Sentiamo spesso ormai parlare di allergie, intolleranze, reazioni avverse…ma sappiamo cosa sono e come si combattono?
Iniziamo con il dire che le reazioni avverse agli alimenti si possono suddividere in due grandi categorie:
- Reazioni di tipo tossico: si verificano quando avviene l’esposizione ad agenti tossici (funghi, tossina botulinica, caffeina, cioccolato, cipolle, ipervitaminosi A, ipervitaminosi D, micotossine, metalli pesanti, erbicidi e altri contaminanti ambientali…)
- Reazioni di tipo non tossico: dipendono dalla sensibilità individuale e rientrano allergie e intolleranze alimentari. Mentre in caso di intolleranza alimentare non è previsto il coinvolgimento del sistema immunitario (meccanismo non immunologico) e la reazione si definisce dose-dipendente, in caso di allergia alimentare si assiste al mancato riconoscimento da parte del sistema immunitario di una proteina definita “allergene” e il meccanismo risulta immunologico e non dose-dipendente. Un soggetto allergico tendenzialmente rimarrà tale per la vita, a differenza dell’intollerante, che può manifestare una sintomatologia solo temporanea. La causa scatenante delle allergie alimentari non è ancora perfettamente chiarita ma alla base vi è un’ipersensibilità individuale verso alcune componenti proteiche, le quali, reagendo con il sistema immunitario intestinale, scatenano la reazione allergica.
La prevalenza delle reazioni avverse al cibo non è conosciuta con precisione, ma i dati ci forniscono un’indicazione: tra i cani visitati dal loro veterinario per qualsiasi motivazione, la prevalenza di razione avversa risulta tra l’1% e il 2%. Nei gatti osservati presso un ospedale universitario, la prevalenza di reazione avversa risulta inferiore all’1% (0,2%). Percentuali effettivamente di molto inferiori rispetto a quanto appare alle categorie che lavorano a stretto contatto con i proprietari di cani e gatti. Si evince che forse vi sia una aumentata percezione della problematica agli occhi del proprietario rispetto invece a quanto i dati scientifici ci suggeriscano.
Gli alimenti più spesso associati alle reazioni avverse nel cane sono: manzo, latte e latticini, pollo, frumento, uova, agnello, soia, mais (rare le allergie al maiale, riso, pesce), mentre nel gatto sono segnalati: manzo, latte e latticini, pesce. Gli studi presenti in veterinaria che ci forniscono queste considerazioni tuttavia non possono essere estesi all’intera popolazione canina e felina in quanto gli animali seguiti per lo studio erano localizzati geograficamente (ogni stato infatti utilizza materie prime differenti) e con determinate abitudini alimentari; astrarre, ritenendo che questo elenco sia consono a tutte le situazioni e a tutti gli stati, non sarebbe corretto. In base a questa riflessione, si evince che la maggior parte delle diete industriali e casalinghe contengano potenziali allergeni. La maggior frequenza degli stessi è attribuibile al fatto che si tratti di ingredienti da tempo assai diffusi nelle diete industriali e casalinghe dei nostri pet.
I segni clinici più comuni sono: dermatite, prurito non stagionale, otite dell’orecchio esterno.
CANI
Da uno studio emerge che alcune razze come West Highland white terrier, Rhodesian ridgebacks e Carlini risultino predisposti alle reazioni avverse agli alimenti.
GATTI
Le informazioni relative a questa specie sono poche. Recentemente è stato suggerito il coinvolgimento di testa e collo associato frequentemente a reazioni di natura alimentare.
FATTORI PREDISPONENTI:
Si tratta di fattori che possono contribuire/causare la reazione.
Citiamo l’alterata permeabilità intestinale genetica, lo svezzamento precoce, le infezioni intestinali, le parassitosi, i deficit/eccessi genetici di anticorpi, un’alimentazione molto diversificata e poco digeribile.
COME IDENTIFICARE IL PROBLEMA?
La maggior parte dei casi di allergia alimentare sono stati identificati attraverso una dieta ad esclusione {STEP 1} (contenente fonti proteiche idrolizzate o alternative) della durata di 6-10 settimane. Questo protocollo tuttavia non permette di distinguere un’allergia da una intolleranza alimentare, per questo motivo è corretto parlare di «reazione avversa agli alimenti». Al termine dell’iter con la dieta ad esclusione occorre riesporre l’animale all’antigene incriminato {STEP 2}, nel caso in cui tale dieta abbia portato alla risoluzione dei segni clinici o ad una significativa riduzione degli stessi. Per avere una diagnosi è infatti necessario somministrare nuovamente la dieta che veniva assunta precedentemente all’iter diagnostico e osservare se sopraggiungono eventuali recidive dei segni clinici che possono comparire dopo pochi minuti o massimo due settimane. A questo punto è consigliata la reintroduzione della dieta ad esclusione {STEP 3} grazie alla quale si potrà nuovamente assistere al miglioramento dei segni clinici. Solo dopo questo rigoroso iter, sarà possibile avere una diagnosi medica.
Uno dei più comuni errori in questo protocollo diagnostico consiste nel ritenere conclusa la prova dietetica al termine della prima somministrazione della dieta ad esclusione, saltando i due momenti di reintroduzione che invece vanno rispettati in quanto parti integranti del piano diagnostico.
Perché è così importante la reintroduzione della dieta originaria e poi della dieta ad esclusione?
Occorre fare una diagnosi differenziale tra pazienti con dermatite di natura alimentare e dermatite atopica. Quest’ultima è una condizione cronica caratterizzata dall’alternarsi di periodi di peggioramento e miglioramento spontaneo dei segni clinici. Capita frequentemente che, durante la dieta privativa, i pazienti con dermatite atopica presentino un miglioramento spontaneo legato alla naturale evoluzione della patologia. Tale miglioramento potrebbe essere erroneamente attribuito alla dieta, portando ad una diagnosi errata. La fase di riesposizione ha lo scopo di evitare questo errore. La dieta privativa infine dovrebbe essere eseguita soltanto una volta risolte le infezioni dermatologiche secondarie (batteriche e da lieviti come Malassetia).
Il più importante strumento diagnostico è quindi la dieta ad eliminazione e la successiva identificazione dell’agente allergizzante mediante test di provocazione per ogni sostanza allergizzante sospettata. La dieta ad eliminazione deve contenere fonti proteiche idrolizzate oppure una singola fonte proteica alternativa, le proteine devono essere altamente digeribili e non devono essere presenti additivi alimentari o ammine vasoattive che potrebbero cross-reagire dando risultati falsi positivi.
La dieta di provocazione efficace porta a recrudescenza dei segni clinici gastrointestinali in 3-7 giorni nel cane e massimo 3 giorni nel gatto; tempi più lunghi, 10-14 giorni, sono segnalati per la ricomparsa dei segni dermatologici.